Raggiungo Mahana Point con lo scooter che ho affittato alla guesthouse. Sono le tre del pomeriggio. Il sole ha appena iniziato a calare e annunciare l’inizio del tardo pomeriggio. La strada per arrivare fino a qui è dissestata. Una stretta striscia di asfalto che accompagna i sali e scendi di quest’isola brulla e secca che ricorda il nostro meridione. Sembra stonare qui ai tropici, sull’isola di Nusa Ceningan non lontana da Bali. Parcheggio lo scooter all’ingresso di un piccolo resort con tre bungalows affacciati sul mare. Un guardiano seduto in bilico con una sedia di plastica mi guarda con occhi assonnati. Forse l’ho svegliato con il mio arrivo o forse è reduce da una serata pesante con gli amici.
‘Hi. How do you go to Mahana Point?’, gli chiedo.
Lui si gratta la testa, raddrizza la sedia e si alza lentamente. Si avvicina e mi dice: ‘Today no go. Today ceremony in temple.’
Mi abbasso un po’ per vedere meglio tra gli alberi. Intravedo degli scalini scavati nella terra che portano ad un tempio Hindu dietro al quale ci dovrebbe essere Mahana Point.
“Are you sure?’ gli chiedo. “Is not possible to walk along the temple?’, sempre con il mio inglese da straniero. “Maybe you can try,’ mi dice mentre riprende la posizione in bilico contro il muro di prima. ‘Go there and ask at the temple, my friend.’
Mi incammino. Salgo gli scalini che avevo intravisto tra i gli alberi. Dopo 100 metri mi trovo accanto al basso muro in mattoni del tempio. All’interno vedo varie statue e stupa avvolti nei tipici sarong a scacchi neri e bianchi. Some se per pudore volessero nascondere alcune loro parti. Nel cortile a fianco dell’entrata principale al tempio ci sono una ventina di uomini, tutti con il loro foulard bianco avvolto attorno al capo. Parlano a voce alta, con tono animato. Alcuni in piedi in circolo, altri acquattati sul pavimento. Un gran vociare. Poi capisco. Non si tratta di una cerimonia. Gli uomini sono venuti qui per vedere e scommettere sulla lotta dei galli. Un posto isolato e appartato, dato che ufficialmente la lotta dei galli è illegale in Indonesia.
Nessuno mi nota. Continuo a camminare lungo il muro. Giro a destra e alla fine un breve corridoio vedo il mare. Pochi passi e mi lascio il tempi alle spalle. Sono sulla scogliere di Mahana Point. La marea si è abbassata notevolmente. Il mare si trova ora a venti o venticinque metri sotto di me. Mahana Point guarda verso Sud, l’Oceano. Oltre l’orizzonte la costa dell’Australia occidentale e poi il Polo Sud. Uno spazio immenso, senza fine.
La superficie del mare è accarezzata da grandi onde che sembrano muoversi al rallentatore. L’infrangersi contro il fondale basso e la scogliera sembra fatto con un senso di sollievo. Il punto di arrivo dopo un lungo viaggio. Alte tre, quattro o forse 5 metri, non so.
Tra un onda e l’altra vedo due surfisti. Sono Balinesi. A circa 300 metri da dove mi trovo io. Nuotano, coricati sulle loto tavole, verso il mare aperto, per raggiungere il punto dove le onde toccano il fondale meno profondo e si alzano verso il cielo prima di iniziare a rompersi. Sono lontani dalla riva. Sono so come abbiano fatto ad arrivare fino a qui. Di certo non sono entrati in mare dalla scogliera dove mi trovo. Raggiungono il punto che sembra più adatto. Su siedono sulle tavole alzano la testa per intravedere quella giusta. Ancora qualche bracciata verso il mare aperto. Di nuovo seduti. Ecco, sembra che arrivi l’onda giusta. Una collina fatta di acqua. Girano le tavole verso riva. Si coricano di nuovo a pancia in giù. L’onda si sta per rompere, si vede la prima schiuma sulla cresta. I due surfisti si attaccano con le mani alla tavola, battono con i piedi nell’acqua per prendere velocità. Con uno scatto sono in piedi sulla tavola. Per un attimo mi sembra che sia troppo tardi. La schiuma li ha inghiottiti. Ma poi eccoli spuntare come dal nulla a tutta velocità, come se scappassero dalla schiuma che li insegue. Salgono e scendono dall’onda con scatti rapidi, continuando nella loro fuga. . Poi l’onda perde forza e loro e girano l’asse verso sinistra e la scavalcano alzando le braccia la cielo in segno di vittoria per essere riusciti a rimanere in piedi per tutto il percorso. Sono a 300 – 400 metri da dove erano prima. Si rimettono a pancia in giù sulla loro asse e prendono di nuovo al direzione del aperto alla ricerca della prossima onda. A volte scampino sotto la schiuma di onde che si sono infrante. Ricompaiono e riprendo a nuotare sulla loro asse.
Li osservo come ipnotizzato. Il sole e’ caldo, ma non scotta. Il vento dall’Oceano è fresco. Il cielo è di un azzurro profondo senza neanche una nuvola. Qui a Bali esiste la tradizione della meditazione. Non si della meditazione a gambe a fiore di loto. Occhi chiusi e mani appoggiate sulle ginocchia, con il pollice delle mani che si toccano rivolti verso l’alto. No, la chiamano meditazione attiva e viene svolta mentre si svolgono le attività di tutti i giorni. Sulla scolgiera di Mahana Point, guardando i due surfisti che giocavano con quelle onde immense che arrivano da lontano, mi è sembrato di meditare. Forse è stato proprio così.
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