Erano anni che non leggevo un libro di Tabucchi. Troppi anni, forse. Oggi ero in barca verso l’isola di Apo per fare delle immersioni. Ho aperto un libro di Tabucchi che ho comprato l’ultima volta che sono stato in Italia. Mi aveva attratto il titolo: Viaggi e altri Viaggi; ma soprattutto una frase nella nota d’introduzione:
‘Ma, a conti fatti, ho viaggiato molto, lo ammetto; ho visitato e ho vissuto in molti altrove. E lo sento come un grande privilegio, perché posare i piedi sul medesimo suolo per tutta la vita può provocare un pericoloso equivoco, farci credere che quella terra ci appartenga, come se essa non fosse in prestito, come tutto e’ in prestito nella vita’
Ecco, ho pensato, io non voglio che una terra mi appartenga e neppure voglio appartenere ad una terra, una terra sola. Voglio appartenere, aiutato dai ricordi, a tante terre, a molti altrove.
Il mare era calmo. Le nuvole basse non promettevano la bella giornata di sole che alla fine abbiamo avuto. Mentre il profilo di Apo diventava più chiaro, ho scorso i titoli dei tanti brevi capitoli che compongono questo libro e sono subito andato a pagina 82: Kyoto. Città della Calligrafia.
E’ un capitolo breve, di sole tre pagine, che raccoglie il ricordo della città che visiterò per la prima volta tra due settimane. Tabucchi descrive la sua visita in un negozio che vende vari tipi di carta di riso sui quali, una volta scelta la carta preferita, viene scritto con l’inchiostro nero un ideogramma. Tabucchi parla dei boschi di Ohara appena fuori Kyoto. Parla della scelta che il viaggiatore può fare tra la bellezza barocca del Padiglione d’oro descritto da Mishima or la sobrietà dei templi buddisti dove riposa lo scrittore Tanizaki.
Ho alzato gli occhi verso Apo. Mancavano pochi minuti al nostro arrivo e alcuni dei passeggeri stavano già armeggiando con le bombole, maschere, e le pinne. Ho pensato che tra due settimane sarò a Kyoto sulle tracce del sogno che ho sempre avito di vistare il Giappone. Un po’ anche sulle tracce di Tabucchi. Anzi, di nuovo sulle tracce di Antonio Tabucchi. Come nel 1990, quando con quattro amici siamo partiti per l’India. Avevamo tutti letto Notturno Indiano e chi lasciavamo guidare, quando il nostro inglese non era granché, dalla stessa guida Lonely Planet che sfoglia il protagonista all’inizio del libro, mentre percorre su un taxi di colore nero, Marine Drive a Bombay.